sabato 13 febbraio 2010

Tracciabilità: Made in Italy alla riscossa

Uno dei settori primari dell'economia italiana è composto da quasi 70mila aziende che operano nel tessile, abbigliamento, concia, pelletteria e calzature. Il made in Italy in questo settore dà lavoro complessivamente a 1.080mila addetti, di cui 620mila nella produzione, realizzano un valore aggiunto di 27,4 miliardi l’anno, pari all'11% delle imprese manifatturiere, ed esportano prodotti per 41,9 miliardi, pari all'11,5% dell'export totale. Il settore moda ha un saldo commerciale positivo di 15,9 miliardi.

Rispetto a questi dati positivi uno è decisamente negativo ed è quello corrispondente alla contraffazione al nostro “Made in Italy”, che crea ogni anno perdite a carico delle imprese pari a quasi 50 miliardi di euro a fronte di ben 7,5 miliardi di euro all’anno di investimenti nell’innovazione, di cui una parte dedicata alla registrazione dei brevetti e dei marchi.
I dati sono della Camera di Commercio di Monza e Brianza che ha proposto in questi giorni i risultati di una ricerca intitolata “Oltre il Made in Italy” e che ha analizzato un campione di 1200 aziende del comparto. La ricerca si riferisce a un contesto specifico ma le tematiche sono estendibili a molte altre realtà italiane.
Le Confederazioni hanno evidenziato come le imprese del sistema moda abbiano subito negli ultimi anni gli effetti della concorrenza sleale di chi pretende di mettere il marchio made in Italy su prodotti realizzati all’estero.

Tra le azioni ritenute più valide dagli imprenditori per realizzare la difesa del prodotto italiano in prima fila c'è la tracciabilità (75,9% degli intervistati), seguita da maggiori controlli (52,6%) e dall'etichetta obbligatoria (38,3%). Riguardo alla tracciabilità dei prodotti, in particolare, fra gli imprenditori del campione esaminato prevale chi ritiene che dovrebbe essere obbligatoria e non solo volontaria mentre il 96,3% dei bergamaschi sentiti nell'indagine è convinto che il Made in Italy deve essere rigoroso, prevedendo sia l'ideazione, sia il confezionamento del prodotto in Italia. Il 94,8%) del panel, infatti, si è dichiarato anche favore di un “made in” rigoroso, che vada dalla ideazione di un prodotto al suo confezionamento sul territorio della Penisola e solo un piccolo 2% intende considerare un Made in Italy in cui è compreso solo il confezionamento (2,2%) o l' ideazione (2,7%).

Una posizione ripresa anche dai rappresentanti di Confartigianato e Cna intervenuti all’Audizione presso la Commissione Industria del Senato sul disegno di legge in materia di riconoscibilità e tutela dei prodotti italiani che hanno sottolineato come: "I prodotti del settore tessile non realizzati prevalentemente in Italia non possono essere etichettati con il marchio made in Italy. La tracciabilità è essenziale per promuovere e sostenere le vere produzioni made in Italy".

Fonte: Rfid Italia

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